Quando Goldoni fece baldoria a Stellata


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Forse pochi, o forse nessuno, sanno che il grande commediografo Carlo Goldoni, in giovinezza, aveva passato una “notte brava” a Stellata. Il celebre autore della Locandiera ci racconta in prima persona, nella sua autobiografia – le Memoires – un aneddoto riguardante uno dei suoi numerosi viaggi lungo il Po, che, nel XVIII secolo, era ancora l’unica e vera “autostrada” della pianura padana, e ospitava un denso traffico di battelli da e per il mare.

Il veneziano aveva sfruttato molte volte questa via d’acqua: sia per far visita ai propri parenti a Modena, imboccando il fiume Panaro proprio a Stellata, e risalendolo a ritroso, sia per recarsi a Pavia, dove il giovane Goldoni era stato ammesso alla prestigiosa università cittadina (da cui poi, a breve, verrà espulso, per avere composto versi satirici poco “galanti” diretti ad alcune giovani della città, colpevoli, a suo dire, di aver rifiutato lui ed altri compagni di studi).

Uno di questi viaggi vide il diciottenne Carlo imbarcarsi su un burchiello (una tipica imbarcazione fluviale) diretto da Pavia a Chioggia, in compagnia di altri giovani, che avevano una passione per la musica e il divertimento. Era, come si suol dire, “invitare un’oca a bere”: Goldoni aveva già sperimentato l’allegria delle brigate di commedianti durante i suoi viaggi, e, come già accennato, era specialista nel comporre poesie e filastrocche in rima che suscitavano il riso generale; anche per questo motivo, più tardi, si dedicherà alla composizione di commedie, risultando forse il più importante autore italiano di teatro di sempre (assieme a Luigi Pirandello).

A sinistra la raffigurazione di un burchiello, nel disegno del 1835 di Giacomo Guardi “Una visuale del fiume Brenta, con Burchiello”. Fonte: Wikimedia Commons

Dal suo racconto, emerge che, durante la navigazione, che doveva durare diversi giorni, i musicisti passavano il tempo salendo sul ponte della barca e iniziando a suonare con i loro strumenti, mentre Goldoni, che – ricorda mortificato – non padroneggiava neanche uno strumento, recitava e forse cantava i versi scherzosi che aveva scritto nei momenti di riposo. Al passare del burchiello per i diversi paesi rivieraschi, e al sentire la musica, racconta che le rive “erano affollate dagli abitanti di quelle vicinanze che vi correvano per ascoltare e, coi cappelli in aria e fazzoletti spiegati, ci significavano il loro piacere, non meno che i loro applausi”. Insomma, la barca doveva apparire come una sorta di “circo galleggiante”, uno spettacolo che non si vedeva tutti i giorni.

Alcune volte però, forse in occasione di fermate obbligate, o forse perché invitati a fermarsi, il battello attraccava, e tutti i musicisti e i passeggeri improvvisavano una grande festa, assieme ai locali, in qualche palazzo o piazza della terraferma: ” […] si dette un concerto, e vari musici del paese ne accrebbero il divertimento. Vi fu gran cena, si ballò tutta la notte.”

È a questo punto che Goldoni cita con precisione i luoghi dove si sono svolte queste performance, che duravano fino a mattina: l’episodio citato sopra si riferisce a Cremona, dove la baldoria si tenne prima all’esterno e poi all’interno di un imprecisato palazzo, ma, puntualizza, “fu ripetuta all’incirca la stessa scena a Piacenza, alla Stellada (ossia Stellata) ed alle Bottrighe (presso Adria), in casa del marchese Tassoni”, luoghi dove “fra il riso, i giochi e i passatempi” gli era capitata la fortuna di passare il tempo con la giusta compagnia, la “società più amabile e più piacevole del mondo”.

Ricostruzione del tragitto del burchiello su cui viaggiava Carlo Goldoni da Pavia a Chioggia, con indicate le tappe citate nel testo. Elaborazione grafica S. Bergamini.

Possiamo forse immaginare l’episodio: dopo una traversata più lunga del solito (Goldoni non nomina altre tappe intermedie tra Cremona e Stellata, anche se è probabile che ci fossero state, ma fossero state decisamente meno “divertenti”), il burchiello attracca a Stellata sul far della sera, mentre i musici suonano e schiamazzano, e l’allegra comitiva scende, unendosi a loro diversi paesani, attratti dalla musica degli strumenti: “violini, un violoncello, due oboi, un corno da caccia e una chitarra”. Forse qualche stellatese musicista dilettante si sarà unito al concerto, che ha l’aria di essere molto improvvisato, e senza schemi fissi…

Impossibile non pensare che qualcuno di loro, anche lo stesso giovane Goldoni, si sia rinfrescato la gola all’interno dell’antica osteria della piazza, quella che oggi è la trattoria osteria Cefali, recentemente riaperta. E forse più tardi, la stessa comitiva sarà stata ospitata, come a Cremona, dentro un palazzo, come quello della famiglia Pepoli, l’antica e bellissima Villa Federica, che allora ancora non si chiamava così. Finché, al far dell’alba, i fortunati viaggiatori-musicisti si saranno reimbarcati, forse non senza qualche rimostranza dei piloti e marinai, o di qualche passeggero dabbene..

Dimenticavo: correva l’anno 1726. E, per i più curiosi, ecco il brano integrale:

CAPITOLO XII

Viaggio dilettevolissimo. – Discorso da me composto. – Ritorno a Pavia per la Lombardia. – Incontro piacevole. – Pericolo di assassinio. – Fermata a Milano in casa del marchese Goldoni.

Tosto che la compagnia fu in ordine per la partenza, mi fece avvertire. Andai alla riva del Ticino ed entrai nel battello coperto, ove tutti si ritrovarono. Nulla di più comodo ed elegante di questo piccolo naviglio chiamato burchiello, fatto venire da Venezia espressamente. Consisteva in una sala e stanza contigua, coperte di legname con balaustrato sovrapposto, ornate di specchi, pitture, sculture, scaffali, panche e sedie della maggior comodità. Era ben diverso dalla barca dei commedianti di Rimini.

Eravamo dieci padroni e parecchie persone di servizio; vi erano letti sotto la prua e la poppa, ma non si doveva viaggiar che di giorno. Si era stabilito che ci saremmo coricati in buoni alberghi o, dove non ve ne fossero, avremmo domandato ospitalità ai ricchi Benedettini che possedevano beni immensi lungo le due rive del Po. Tutti quei signori sonavano qualche strumento. Vi erano tre violini, un violoncello, due oboi, un corno da caccia e una chitarra. Io solo non ero buono a nulla, e me ne vergognavo; ma procurando di supplire al difetto di utilità, mi occupavo per due ore del giorno a mettere in buoni o cattivi versi gli aneddoti e i divertimenti del dì precedente. Questa bizzarria dava sommo piacere ai miei compagni di viaggio, ed era, dopo il caffè, il comun nostro divertimento.

La loro occupazione favorita era la musica. Infatti sul far della sera prendevano posto sopra una specie di coperta, che forma il tetto dell’abitazione galleggiante, e facevano risuonar l’aria dei loro armoniosi concerti, traendo a sé da tutte la parti le ninfe e i pastori di quel fiume già tomba di Fetonte. Direte forse, caro lettore, che il mio racconto è enfatico? Può darsi; ma tale appunto dipingevo nei miei versi la nostra serenata.

Fatto sta che le rive del Po, chiamato dai poeti italiani “il re dei fiumi”, erano affollate dagli abitanti di quelle vicinanze che vi correvano per ascoltare e, coi cappelli in aria e fazzoletti spiegati, ci significavano il loro piacere, non meno che i loro applausi. Arrivammo a Cremona circa alle sei di sera. Era già corso il grido che vi dovevamo passare, e le rive del fiume erano piene di gente che ci aspettava.

Smontammo dalla barca. Fummo ricevuti con impeto di gioia, e fatti subito entrare in una bellissima casa, situata fra la campagna e la città, ove si dette un concerto, e vari musici del paese ne accrebbero il divertimento. Vi fu gran cena, si ballò tutta la notte, e finalmente rientrammo col sole nella nostra nicchia, ove trovammo i nostri deliziosi materassi. Fu ripetuta all’incirca la stessa scena a Piacenza, alla Stellada ed alle Bottrighe, in casa del marchese Tassoni. In tal guisa fra il riso, i giochi e i passatempi arrivammo a Chioggia, ove io dovevo separarmi dalla società più amabile e più piacevole del mondo. I miei compagni di viaggio vollero usarmi la garbatezza di smontar meco. Li presentai a mio padre, che li ringraziò di cuore, pregandoli inoltre di rimanere a cena in casa sua; ma erano in necessità di restituirsi a Venezia la stessa sera. Mi pregarono di dar loro i versi da me fatti sul viaggio; chiesi tempo per metterli in pulito, promettendo di spedirglieli, né mancai. […]


Da Carlo Goldoni, Memoires, edizione originale in lingua francese, Parigi 1787, trad. italiana di Francesco Costero, Sonzogno, Milano 1908. Disponibile online su www.liberliber.it


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